Translate

martedì 28 marzo 2017

Anche sui Social, ci deve essere la testimonianza cristiana e dobbiamo dare senso alla Rete....


Papa Francesco ai giovani: “Non state sempre attaccati al computer. Se rimango attaccato alla vita virtuale è una malattia psicologica. Ci sono cose sporche, come la pornografia".
 A una domanda sui giovani sempre più dediti all'uso del computer, il Papa ha sottolineato che "ci sono due cose differenti da considerare, le modalità e i contenuti. Una modalità che fa male all'anima è essere troppo attaccati al computer: questo toglie la libertà, ti rende schiavo. Tante famiglie si lamentano che i figli anche a tavola sono sempre al telefonino, come in un altro mondo". Secondo Bergoglio, "il linguaggio virtuale è una realtà che non possiamo negare, ma dobbiamo portarla sulla buona strada, è un progresso dell'umanità, ma quando ci porta via dalla vita comune, dalla vita sociale e familiare, o anche dallo sport o dall'arte, è una malattia psicologica". Ha poi puntato il dito contro il consumismo: "Ci sono poi i contenuti – ha proseguito -, cose sporche, come anche la pornografia, ed anche programmi vuoti, senza valori. Per esempio programmi relativisti, edonisti, consumisti, che fomentano tutte queste cose. Lo sappiamo – ha aggiunto Francesco – il consumismo è un cancro della società, il relativismo è un cancro della società: di questo parlerò nella prossima enciclica che uscirà entro questo mese".


Essere cristiani al tempo dei social 


Parlando con i giovani delle Scholas Ocurrentes, Francesco confida di essere “una frana” con il computer, eppure il Papa venuto “quasi dalla fine del mondo” capisce immediatamente che la Chiesa non solo deve stare laddove si trova l’uomo (e quindi anche nel Continente digitale), ma deve dare senso alla Rete, “umanizzarla” proprio con l’annuncio e la testimonianza del Vangelo.
Al tempo stesso, il Papa argentino coglie anche i rischi di un’iperconnessione digitale che invece di ampliare il compasso delle relazioni le ristringe fino al rischio dell’isolamento, di una “sclerosi” relazionale. Sono riflessioni, quelle di Bergoglio, che sempre più affiorano tra gli osservatori di questa nuova dimensione dell’esistenza e che trovano riscontro, per esempio, nel libro della psicologa americana Sherry Turkle: “Insieme ma soli. Perché ci aspettiamo sempre più dalla tecnologia e sempre meno dagli altri”.
Il Papa non cede però al pessimismo di chi vede nelle Reti Sociali un’irrimediabile manifestazione di decadimento delle relazioni umane. Anzi, in un qualche modo “rilancia” quando, nel suo primo Messaggio per la Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali, la 48.ma, sottolinea che Internet “può offrire maggiori possibilità di incontro e di solidarietà tra tutti, e questa è una cosa buona, è un dono di Dio”.

Proprio come Benedetto XVI, Francesco si mette in gioco in prima persona: prosegue l’esperienza su Twitter, portando @Pontifex a raggiungere ogni giorno con i suoi tweet decine di milioni di persone in tutto il mondo; apre l’account Instagram @Franciscus, nel pieno del Giubileo della Misericordia, con l’intento di portare attraverso le immagini proprio un segno della tenerezza di Dio ad un’umanità spesso ferita e assetata di amore. Significativamente, inoltre, nella prima riga del motu proprio con il quale istituisce la Segreteria per la Comunicazione della Santa Sede, il Pontefice scrive che i primi elementi che motivano la riforma dei mezzi di comunicazione vaticani sono “lo sviluppo dei media digitali” e i fattori della “convergenza e della interattività”. Ma come dunque si possono cogliere, anche nel Web 2.0, queste possibilità di incontro autentico – con Gesù e con il prossimo – a cui fa riferimento Francesco? Nella lettura del suo Magistero sembrano finora emergere tre punti chiave: testimonianza (proprio come in Benedetto XVI), prossimità e accompagnamento.
Se guardiamo a Internet come ad una “rete di persone e non di fili”, allora – esorta Francesco – “l’accesso alle reti digitali comporta una responsabilità per l’altro, che non vediamo ma è reale, ha la sua dignità che va rispettata”. Come a dire che il profilo o l’account non possono essere una maschera che mettiamo per “giocare” con l’altro. La grande sfida per il cristiano al tempo dei Social è allora trasformare il proprio profilo social in uno spazio di testimonianza autentica e credibile (e se necessario controcorrente, come tante volte Wojtyla, Ratzinger e Bergoglio hanno chiesto ai giovani). Anche su Facebook e negli altri nuovi “areopaghi digitali” deve sempre prevalere la persona sul ruolo. Valorizzare quindi l’aspetto umano della comunicazione su quello tecnologico.
La seconda parola chiave per il Papa è prossimità. Francesco ricorre al Parabola del Buon Samaritano per sottolineare quanto, anche nei nuovi ambienti creati dalle tecnologie digitali, sia attuale e urgente rispondere alla domanda che lo scriba rivolse a Gesù: “E chi è il mio prossimo?” (Lc 10,29). Nei Social Network, è l’esortazione del Papa, il cristiano deve farsi prossimo a tutti e a ognuno, riconoscendo che Gesù inverte la prospettiva posta dal suo interlocutore: “Non si tratta di riconoscere l’altro come un mio simile, ma della mia capacità di farmi simile all’altro”. Un cambio di sguardo dalle conseguenze enormi.
Solo se siamo davvero autentici e sappiamo farci prossimi potremo accompagnare l’umanità che abita nelle Reti Socali. Un accompagnamento che diventa cammino da fare assieme. Una sorta di sinodalità digitale. Per Francesco, infatti, “non basta passare lungo le strade digitali, cioè semplicemente essere connessi: occorre che la connessione sia accompagnata dall’incontro vero”. Il Papa ci chiede di riaccostarci all’episodio dei discepoli di Emmaus. Come ha fatto Gesù, anche la Chiesa deve nelle Reti Sociali “sapersi inserire nel dialogo con gli uomini”, “comprenderne le attese, i dubbi e le speranze”. Anche sui Social, ci incoraggia Francesco, la testimonianza cristiana “non si fa con il bombardamento di messaggi religiosi, ma con la volontà di donare se stessi agli altri”, coinvolgendosi con pazienza e rispetto nelle domande degli altri, in un “cammino di ricerca della verità e del senso dell’esistenza umana”. Proprio come fece San Paolo all’Areopago duemila anni fa. (Terza puntata – FINE. Leggi la prima e la seconda)
nella foto: la copertina del libro di Alessandro Gisotti "Il decalogo del buon comunicatore secondo Papa Francesco" (ed. Elledici)

Fonte:http://www.ucsi.it/news/opinioni/8673-da-profilo-a-testimone-essere-cristiani-al-tempo-dei-social-3.html

Nessun commento:

Posta un commento